R E S O C O N T O D I S C U S S I O N E |
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Inserito il - 01 January 2014 : 20:50:20 La Santa Cena e la Pasqua.
Papa Giovanni Paolo II nella Lettera ai sacerdoti per il giovedì santo 1996 scrisse: “Proprio durante tale evento pasquale Cristo rivelò agli Apostoli che la loro vocazione era quella di diventare sacerdoti come Lui e in Lui.
Ciò avvenne quando, nel Cenacolo, alla vigilia della morte in croce, Egli prese il pane e poi il calice del vino, pronunciando su di essi le parole della consacrazione. Il pane e il vino diventarono il suo Corpo e il suo Sangue, offerti in sacrificio per l'intera umanità. Gesù concluse questo gesto ingiungendo agli Apostoli: «Fate questo... in memoria di me» (1 Corinzi 11: 25).
Con queste parole affidò loro il proprio sacrificio e lo trasmise, attraverso le loro mani, alla Chiesa per tutti i tempi. Affidando agli Apostoli il Memoriale del suo sacrificio, Cristo li rese partecipi anche del suo sacerdozio. Esiste, infatti, uno stretto ed indissolubile legame tra l'offerta e il sacerdote: colui che offre il sacrificio di Cristo deve avere parte al sacerdozio di Cristo.
La vocazione al sacerdozio è, dunque, vocazione ad offrire in persona Christi il suo sacrificio, in virtù della partecipazione al suo sacerdozio. Dagli Apostoli, perciò, abbiamo ereditato il ministero sacerdotale”. È evidente da questo scritto che eucarestia e sacerdozio per i cattolici sono inscindibili: l’uno dipende dall’altra. Vediamo come si sono svolte le cose.
La Chiesa cristiana primitiva riteneva che i simboli della Santa Cena (il pane azzimo, il vino rosso e il calice che lo conteneva) fossero necessari per commemorare il sacrifico di Cristo ogni 14 Nisan , la data della Pasqua ebraica, corrispondente al primo plenilunio dopo la luna nuova di marzo. Fu in quella notte che Gesù istituì con gli undici apostoli rimasti con lui dopo la cena pasquale (Giuda era uscito) il memoriale della sua morte e lo fece con il pane azzimo della Pasqua, presente sulla tavola, e col vino rosso versato in un calice.
Spiegò loro che il pane azzimo rappresentava il suo corpo puro, senza il lievito del peccato, che il vino rosso rappresentava il suo sangue e che il calice rappresentava un patto tra lui e la sua Chiesa, un patto di sacrificio cui avrebbero partecipato coloro che avrebbero mangiato di quel pane e bevuto di quel vino. Diede prima il pane agli apostoli e poi diede loro il calice col vino.
E disse: “Fate questo in ricordo di me”. Il pane simbolico e il vino simbolico furono da Lui dati separatamente. Cioè gli apostoli non dovevano inzuppare il pane nel vino, poiché corpo e sangue divisi rappresentavano la morte di Gesù. Perciò la celebrazione eucaristica veniva fatta dai battezzati solo una volta all’anno, in concomitanza della Pasqua ebraica. Ogni 14 nisan, subito dopo il tramonto del 13, tutti i battezzati facevano una riunione per commemorare insieme la Cena del Signore con pane azzimo, cioè senza lievito, e con vino rosso in un calice.
Era la Sua morte che doveva essere ricordata. Come scrisse l’apostolo Paolo: “Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato. Così celebriamo la festa non col vecchio lievito, né con un lievito di malizia e di perversità, ma con i pani senza lievito della purezza e della verità” (1 Corinzi 5:7,8). In quel giorno la morte di Cristo veniva considerata dai suoi seguaci l’evento fondamentale per la redenzione dell’umanità.
La concomitanza della Santa Cena cristiana con la Pasqua ebraica durò fino al 70. Da allora in poi gli ebrei cessarono di sacrificare gli agnelli il 14 nisan e di mangiarli in quel giorno, poiché non potevano più compiere sacrifici animali nel tempio di Gerusalemme, distrutto dai romani.
Dal 70 in poi gli israeliti osservarono solo la settimana degli azzimi o dei pani non fermentati. La sera con cui iniziava tale settimana, il 15 nisan, mangiavano un pezzo di agnello in commemorazione della Pasqua che non potevano più fare. Per loro ancora oggi è così. I cristiani invece continuarono ad osservare il 14 nisan ma non come Pasqua ebraica bensì come celebrazione della Santa Cena.
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15 U L T I M E R I S P O S T E (Le più nuove sono all' inizio) |
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Inserito il - 24 April 2014 : 07:45:14 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Il confronto fra il cristianesimo originale evangelico e quello del quarto secolo dimostra in primo luogo che neanche la Parola di Cristo ha potuto resistere al potere che ha la tradizione nella mentalità popolare.
Il paganesimo con tutti suoi templi, i suoi innumerevoli dei, i suoi misteriosi riti e le sue festività legate ai cicli della natura, aveva messo ben salde radici a Roma e nell’impero. È noto che il pantheon romano derivava prevalentemente da quello greco ma un’accurata indagine storica mostra che entrambi avevano molti fondamenti in quello babilonese.
Anche lo gnosticismo cristiano del II secolo, nascendo dallo zoroastrismo persiano e dal mitraismo, derivava dal culto babilonese. Il cristianesimo, che dal 33 comparve a Roma e nelle province in piccole comunità, dava insegnamenti diversi, anzi opposti, e sembrava così minare le basi dell’impero. Per questo fu più volte perseguitato dagli imperatori e odiato dal popolino superstizioso, che attribuiva ai cristiani ogni sciagura.
Ma questa nuova religione, scevra da idolatrie e misteri, per diffondersi doveva essere accettata dai pagani e per raggiungere questo scopo doveva anche modificarsi. Purezza di dottrina e successo popolare non vanno d’accordo. Così nel corso del tempo (ci vollero quasi quattro secoli) il cristianesimo riuscì a divenire la religione ufficiale dell’impero.
Ma quando ciò avvenne delle dottrine originali restava ben poco. “La fede viva appare trasformata in una confessione di fede troppo credula, la dedizione a Cristo in cristologia, la fervida speranza del “regno” in una dottrina sull’immortalità e sulla deificazione, la profezia in una dotta esegesi e in una scienza teologica, i depositari dello spirito in chierici, i fratelli in laici immaturi da tenere sotto tutela, i miracoli e le guarigioni in nulla o in pezzi di bravura pretesca, le preghiere intense in inni e litanie, lo “spirito” in diritto e costrizione.”
Nel secondo secolo nacque la dottrina della successione apostolica dei vescovi che diede luogo a un’aristocrazia vescovile.
Ben presto ogni comunità cristiana si trovò a non avere più un gruppo di vescovi a dirigerla come al tempo degli apostoli ma un vescovo soltanto.
Questo, detto “vescovo monarca”, eleggeva il proprio successore. I vescovi monarchi di Roma si considerarono diretti successori di San Pietro, cui attribuirono la fondazione della Chiesa di Roma, anche se storicamente la sua presenza a Roma non può essere provata.
Essi attuarono profondi cambiamenti nella dottrina cristiana originale per renderla accettabile alle masse pagane che si cristianizzarono, considerando che erano abituate a certi simboli, a certe festività, all’idolatria e al politeismo. Lo fecero per guadagnare potere e dominare su di esse.
Nel far ciò lasciarono la ritualità domenicale ai presbyteroi, che divennero preti. Il sacerdozio pagano si trasformò così nel sacerdozio cristiano e gli strumenti del culto agli dei (paramenti sacri, ostensorio col disco solare, incenso, candele, inni ecc.) passarono al culto a Cristo. La commemorazione della morte di Cristo divenne il sacrificio della Messa, cioè il rito (prima solo domenicale e infine quotidiano) dell’eucarestia, dove il pane e il vino si tramuterebbero nel corpo e nel sangue d’Iddio come nel culto di Osiride, di Bacco e soprattutto di Mitra. Il sacrificio di Gesù sulla croce doveva ripetersi sugli altari della cristianità. Ed erano sempre i preti a sacrificarlo.
All’opera di trasformazione della semplicità evangelica in teologia contribuirono gli “intellettuali”, i “padri della chiesa”, i quali imposero il loro pensiero alle masse dei credenti coniugando filosofia greca e cristianesimo. Seguendo la dottrina platonica del logos fecero sì che Gesù non fosse più un uomo da imitare ma Dio “incarnato” e quindi inimitabile.
Mettete uno sull’altare e non sarà più un esempio per il gregge. Nessuno infatti può seguire l’esempio comportamentale di un dio o di un santo. Può solo adorarlo.
Con il concilio di Nicea del 325 la trinità divenne un dogma, cioè una verità indiscutibile. Non solo. Con lo stesso concilio i riti primaverili legati alla fertilità del suolo entrarono nella Pasqua cristiana e le feste del solstizio d’inverno divennero il Natale di Cristo.
L’adorazione pagana della Grande Madre divenne l’adorazione di Maria e la sempiterna verginità della dea rese obbligatoria la sempiterna verginità di Maria. Nel 440 il titolo di Sommo Pontefice passò dall’imperatore romano al papa di Roma, il quale con esso ereditò anche il potere delle chiavi di Giano, quella solare d’oro e quella lunare d’argento, facendole passare per le chiavi di San Pietro. Quando furono distrutti i templi pagani e la religione degli dei fu messa fuori legge, i cristiani credettero di aver trionfato sulla falsa religione. Credettero di aver distrutto le consuetudini pagane pur festeggiando giorni della tradizione pagana come cristiani, di aver annullato il politeismo pur credendo in un Dio trino e nella Madonna, di aver sconfitto la filosofia greca pur adattando la dottrina di Cristo al pensiero di Platone e così via.
Pensarono addirittura che con la cristianizzazione dell’impero fosse giunto il Regno di Cristo sulla terra e che non sarebbe durato mille anni, come dice la Bibbia, ma un’eternità. La capitale del Regno di Dio non era più Gerusalemme, come dicono le Sacre Scritture, ma Roma. In realtà era il paganesimo romano che aveva trionfato sul cristianesimo.
Lo aveva fatto attraverso intellettuali innamorati della filosofia greca che imposero il loro complicato pensiero ai cristiani e attraverso l’operato di vescovi ansiosi di signoreggiare su un gregge sempre più vasto.
La religione cristiana del V secolo, se confrontata con le Scritture, era ormai un’altra cosa: era divenuta irriconoscibile. Ma soddisfaceva le masse proprio perché andava incontro alle loro indistruttibili radici pagane.
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Inserito il - 14 April 2014 : 20:35:52 Il processo invisibile per cui l’ostia si muterebbe miracolosamente nel sangue e nel corpo di Gesù, si chiamerà nel Medio Evo transustanziazione e sarà ovviamente “un mistero”.
La dottrina della transustanziazione diverrà dogma per decreto del papa Innocenzo III al concilio lateranense del 1215. L’adorazione dell’ostia fu sancita da papa Onorio III nell’anno 1220. La Chiesa romana proibì il calice ai fedeli nella comunione al concilio di Costanza nel 1414: fu temuto che se si versava in terra una goccia di vino si versasse il sangue di Cristo.
Il sacrificio compiuto da Nostro Signore sul Calvario sarebbe per i Cattolici valido a cancellare, secondo la dottrina di Agostino, solo la macchia del peccato originale dall’anima, macchia che sarebbe trasmessa da Adamo ad ogni uomo. Giovanni il Battista esclamò, vedendo Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29) e per Agostino quel peccato era solo quello originale.
Il riferimento del Battista è certo al peccato di Adamo, ma lo definì “del mondo” non perché tutti avevano ereditato quel preciso errore ma perché dal quel peccato era derivata la tendenza a peccare per tutti i discendenti di Adamo.
Infatti “Cristo è morto per i nostri peccati” (1 Corinzi 15:3) e non solo per il peccato di Adamo. Inoltre San Paolo spiegò che il sacrificio di Gesù Cristo fu da lui offerto una sola volta per tutte e non poteva essere ripetuto ma solo commemorato nella Santa Cena (Ebrei 1:27; 9:26-28; 10:10-14).
Per la Chiesa di Roma invece il sacrificio di Cristo cancellava solo il peccato originale e quindi, per cancellare i peccati individuali che si commettono di giorno in giorno, Gesù Cristo doveva sacrificarsi nuovamente e quotidianamente nell’eucarestia.
La liturgia cattolica infatti dice: “Questo sacrificio che la Chiesa ti offre, Signore, salga a te come offerta pura e santa e ottenga la pienezza della tua misericordia” (dal Prefazio delle Domeniche VIII, La Chiesa radunata nel vincolo della Trinità. Messale II ed., p. 342).
Scrisse Charles Taze Russell: “Se la Chiesa primitiva fosse stata organizzata alla maniera del Papato o di altre denominazioni attuali, i racconti che sono stati fatti sarebbero stati molto diversi da come sono. Si sarebbe trovata qualche allusione alla grande cerimonia di insediamento degli apostoli nella loro funzione da parte di Nostro Signore, che si sarebbe seduto in qualche posto come Papa per ricevere gli apostoli rivestiti di vesti scarlatte come cardinali ecc.
Avremmo avuto dichiarazioni nette e precise sull’osservanza del venerdì e sull'astenersi dalla carne ecc. Si sarebbe parlato di “acqua benedetta” aspersa sugli apostoli o sulle moltitudini, così come del segno della croce. Non sarebbe stata dimenticata Maria, la madre del Signore. Ci sarebbero state delle precisazioni sulla sua pretesa “immacolata concezione”, sarebbe stata presentata come "madre di Dio" e Gesù stesso le avrebbe reso omaggio e avrebbe istruito gli apostoli su come avvicinarsi a lui tramite lei.
Ci sarebbero state allusioni ai "ceri": quando, come e dove dovrebbero essere usati; vi si sarebbe parlato di pregare i santi e della "messa"; e di come Pietro, incontrandosi con gli altri discepoli, fu riconosciuto quale Papa, di come si prostrarono davanti a lui e di come celebrò la messa per tutti loro in base ad una semplice dichiarazione che egli aveva il potere di ricreare Cristo nel pane per sacrificarlo di nuovo per le trasgressioni personali.
Avremmo avuto un racconto sulla sepoltura di Stefano, di come Pietro e gli altri "benedirono" una tomba per lui perché potesse riposare in "terra consacrata" e come gli posero un “cero" in mano mentre pronunciavano delle preghiere. Avremmo avuto dichiarazioni sui diversi ordini del clero e sul perché i laici non siano considerati "fratelli", ma debbano essere subordinati agli ecclesiastici.
Vi sarebbe stata fatta menzione delle dignità gerarchiche tra questi ultimi: Reverendo, Molto Reverendo; Vescovi, Arcivescovi, Cardinali e Papi; e di come raggiungere queste alte posizioni, dove si onora l’un l'altro, e su chi dovrebbe essere il più importante.”
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Inserito il - 05 April 2014 : 07:58:30 Come l’ostia sostituì il pane azzimo della Santa Cena.
Successe poi, come spiegò E. Renan, che “a motivo della preghiera: ‘Dacci oggi il nostro pane quotidiano’ in certi paesi, soprattutto in Africa, si ritenne necessario comunicarsi tutti i giorni.
A imitazione dei Misteri ci si compiacque di circondare quest’atto supremo dal più profondo segreto. Si prendevano precauzioni perché soltanto gli iniziati fossero presenti in Chiesa durante la celebrazione.”
Da A. Hislop si apprende che quel “pane quotidiano” era un’hostia (vittima sacrificale) e che “quando le donne d’Arabia cominciarono ad adottare quest’ostia e ad offrire il “sacrificio incruento”… furono considerate eretiche e chiamate col nome di Colliridiane dal nome greco del pane che impiegavano. Ma Roma vide che l’eresia poteva tornare a proprio vantaggio e perciò, sebbene condannata dalla parte sana della Chiesa, la pratica di offrire e di mangiare questo “sacrificio incruento” fu promossa dal papato.”
Epifanio, un monaco palestinese che dal 367 era divenuto vescovo di Salamina di Cipro, era nemico dichiarato di Origene e di tutte le eresie. Recatosi a Gerusalemme nel 393, scrisse Panarion (cassetta per le medicine), un libro in cui considerò le eresie come malattie da curare o da estirpare e ne confutò ottanta.
In particolare tuonò contro gli eccessi di quelle “sacerdotesse di Maria”, affermando che: «Non si devono onorare al di là del giusto i santi, ma si deve onorare il loro Signore… Maria infatti non è Dio, né ha ricevuto il suo corpo dal cielo, ma da un concepimento, da un uomo e da una donna… Si onori Maria, ma si adori il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Nessuno adori Maria… Così dunque certe donnette non disturbino più la Chiesa e non dicano più: noi onoriamo la Regina del Cielo, poiché dicendolo e offrendo le loro focacce, esse compiono ciò che è stato predetto, che alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demoni. No, questo errore del popolo antico non prevarrà su noi al punto da allontanarci dal Dio vivente per adorare le creature, poiché se un angelo si rifiuta di essere adorato da San Giovanni (confrontare Apocalisse 19: 9,10), come lo rifiuterebbe ancor più colei che non fu che la figlia di Anna?» (Epifanio, Panarion, 78:24;79:4,7).
Epifanio paragonò il culto alla Vergine con il culto idolatra del paganesimo alla Grande Madre; attestò inoltre che tale madornale errore della Chiesa era stato addirittura profetizzato dall’apostolo Paolo (1 Timoteo 4:1). Infatti fu dall’ambiente pagano che la Chiesa del IV secolo assorbì le modalità del culto alla dea madre. Le focacce che si ricavavano dal covone sacro, rotonde come la luna piena, venivano offerte ad Astarte o Ishtar, cioè alla dea luna, simbolo di Semiramide, madre e sposa del dio del grano, Nimrod. Nel libro di Geremia (44:19) si narra che le donne d’Israele, cadute nell’idolatria, offrivano profumi e libagioni alla regina del cielo, alla luna piena, cui dedicavano focacce rotonde a sua immagine.
In Egitto la dea luna era Iside, in Assiria e a Babilonia Ishtar, in Fenicia Astarte (che i fenici chiamavano Tanit, la Grande Madre), in Grecia Artemide, a Roma Diana. Il pane offerto alla Vergine era lievitato, ma la Chiesa di Roma, adottando l’ostia, volle che fosse senza lievito. La Chiesa greca invece restò fedele al pane lievitato. Fu questa una di quelle assurde divergenze che contribuì al distacco del cristianesimo bizantino da quello romano.
Poco dopo che l’imperatore Teodosio aveva dichiarato il cristianesimo religione ufficiale dell’impero (380 d.C.), la celebrazione quotidiana dell’eucarestia divenne la prassi in tutte le comunità. Tuttavia il termine Messa (derivato dalla formula con cui vengono congedati i fedeli alla fine del rito eucaristico: ite missa est) “non compare a Roma che alla fine del secolo VI”. La frequenza alla Messa fu resa obbligatoria solo nell’XI secolo.
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Inserito il - 26 March 2014 : 07:29:01 La nascita del sacerdozio cattolico.
Quando per la Chiesa di Roma l’eucarestia acquisì il significato di sacrificio della Messa i presbyteroi (o anziani della comunità) che la officiavano ogni domenica cominciarono a rivestire un ruolo sacerdotale e divennero preti. Anche il sacerdozio derivò dagli gnostici, i quali da tempo praticavano il rito della consacrazione alla responsabilità della comunità o ordinazione sacerdotale, secondo la tradizione persiana.
Da allora in poi avvenne la scissione in due del popolo di Dio, scissione che caratterizzerà tutta la successiva storia del cristianesimo. I presbyteroi o preti venivano consacrati dal vescovo “monarca”, il quale, per dedicarsi esclusivamente al governo del gregge, cessò di celebrare l’eucarestia domenicale e lasciò il compimento di tale rito ai preti. Quando l’eucarestia domenicale acquisì il significato di sacrificio della Messa, i preti divennero sacerdoti. Il sacerdozio gnostico aveva ispirato il sacerdozio cattolico.
I preti furono chiamati “clero”. Il termine “clero” deriva dal greco kleros (eredità) e solo allora acquistò un significato sacerdotale. I fedeli furono chiamati laici, cioè popolo. Si creò così una distinzione netta fra laici e clero, composto dagli amministratori del culto. La struttura clericale della Chiesa si ispirò alla struttura civile romana. “Le città che avevano un flamine o archiereus sono quelle che più tardi ebbero un arcivescovo; il flamen civitatis si trasformò nel vescovo.
A partire dal III secolo il flamine duumviro occupava in città il rango che, cento o centocinquant’anni più tardi, fu proprio del vescovo nella diocesi. Il quadro dei vescovati e degli arcivescovati fu quello delle civitates antiche, secondo i loro vincoli di subordinazione. L’impero fu lo stampo in cui si forgiò la nuova religione. La struttura interna, le suddivisioni gerarchiche furono quelle dell’impero.”
Nel 313, con l’editto di Costantino, i cristiani ottennero la libertà di culto e la Chiesa non solo cominciò a elaborare una propria liturgia con vari riti ma anche a costruire edifici per le riunioni dei fedeli. Quegli edifici furono chiamati basiliche (regge). Costantino nel 315 fece erigere quella di San Giovanni in Laterano, quella di San Pietro e quella di San Paolo. Fino ad allora le riunioni erano avvenute nella domus ecclesiae, che era un’abitazione privata dove tutti stavano insieme senza divisioni.
Da allora i poi invece i catecumeni assistevano al rito eucaristico nel quadriportico, i fedeli nelle navate, le donne nei matronei e il clero nel presbyteroio. Ebbe anche un grande sviluppo la musica di Chiesa e venne introdotto in occidente l’uso orientale delle campane per richiamare i fedeli. Nel 321 uscì un editto dell’imperatore che faceva della domenica una festa settimanale per l’osservanza dei doveri religiosi.
In quel giorno tutti si dovevano astenere dal lavoro, tranne i contadini, perché la raccolta del grano o di altri frutti della campagna era un lavoro troppo necessario e urgente per sospenderlo. L’editto sul riposo domenicale fu una decisione importante e incontestabile. Era giusto che ci fosse un giorno di riposo settimanale per i cristiani da dedicare al culto. Ma fu un errore identificare l’osservanza della domenica con quella del sabato ebraico, sostenendo che il riposo domenicale adempiva il comandamento divino dato agli ebrei di riposare il settimo giorno.
Inoltre il comandamento sull’osservanza del sabato fu mutato in “ricordati di santificare le feste”, che cominciavano ad essere numerose. Era stato dimenticato il precetto paolino: “Nessun (uomo) dunque vi condanni riguardo al mangiare o al bere o rispetto a feste o a lune nuove o a sabati, che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire, ma la realtà è Cristo” (Colossesi 2:16, 17). Il cristiano infatti, secondo l’insegnamento di San Paolo, “non è sotto la Legge, ma sotto la grazia” e quindi non è obbligato ad osservare i dieci comandamenti del Sinai, compreso quello del sabato.
Anche se il sabato fu trasformato in domenica, per il cristiano non sono comandamenti divini da osservare né l’uno né l’altra. Egli ha il riposo quotidiano della fede.
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Inserito il - 20 March 2014 : 20:41:49 Ostensorio.
L'ostensorio della liturgia cattolica, contrariamente a quello che si pensa, non deriva il suo nome dall'ostia. Si chiamava già ostensorio un millennio prima di Cristo. Ostiare corrisponde a un etimo egizio (e si traslò anche nel latino) e significa “mostrare, fare vedere”. Veniva usato nei riti pagani quando veniva mostrato il disco solare ai fedeli.
La consuetudine di abbassare il capo quando viene innalzato l’ostensorio durante la Messa deriva dalla liturgia di Aton, il disco solare adorato dal faraone Akenaton, i cui riti si svolgevano all'aperto, quando il sole sorgeva. Certo non era proibito guardare l’astro sorgere, ma il continuare a farlo quando era sorto era dannoso alla vista. Allora tutti i seguaci di Akenaton abbassavano la testa.
L’antico culto orientale del dio del vino, Dioniso, fu introdotto in Grecia dalla Tracia nel VII secolo a.C. Quando il Dionisismo passò in Italia i maggiori centri del suo culto furono l’Etruria e la Campania. Nel 186 a.C. il senato romano provò, senza successo, a sopprimere i riti dionisiaci. Dioniso era, nella versione cretese della leggenda, il figlio androgino della Santa Vergine Persefone e di Zeus tramutato in serpente.
I greci infatti lo chiamavano Zeus il salvatore. Il 25 marzo era la festa dell’annunciazione della nascita di Dioniso, che sarebbe avvenuta, come quella di Nimrod, il 25 dicembre. Oggi queste date rappresentano: la prima l’annunciazione dell’angelo Gabriele a Maria e la seconda la nascita di Gesù Cristo. Dioniso fu allattato in una grotta e fu allevato per sette anni da alcune ninfe. Secondo la leggenda greca del Diluvio, dall’inondazione si salvò solo Deucalione con la moglie Pirra, per cui Deucalione divenne il capostipite di tutte le genti. È evidente che il mito di Deucalione deriva dal racconto biblico di Noè.
Uscito dall’arca, Noè, secondo la Genesi, piantò una vigna, ne bevve il vino e si ubriacò. Dioniso quindi non sarebbe altri che Deucalione, ovvero Noè. Lui per primo avrebbe insegnato agli uomini a piantare le vigne e a trarne il vino. In caldeo “lamentarsi” si dice bakhah, per cui a Roma Dioniso fu chiamato Bacco (il compianto) per i lamenti compiuti per la sua morte.
Ma Dioniso non era morto per sempre. Risuscitava ogni anno a settembre nella vigna e il vino era il suo sangue, il sangue del dio salvatore. Il mistero pagano del pane che si trasformava nella carne del dio e quello del vino che si trasformava nel sangue del dio passarono al culto di Mitra, da questo all’eucarestia degli gnostici e infine al sacrificio della Messa della Chiesa di Roma.
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Inserito il - 14 March 2014 : 07:12:53 Abbiamo visto come lo gnosticismo derivasse dal mitraismo di origine persiana. Nel culto in onore del dio Mitra il pane e il vino venivano consumati in una sacra cena e contenevano entrambi lo spirito del dio.
Anche nel paganesimo romano questo pasto sacro veniva celebrato dagli adoratori di quel dio. Il culto di Mitra faceva parte dei Misteri orientali ed era stato introdotto nell’Urbe dai soldati che avevano combattuto in Oriente. All’esercito piaceva quel dio perché come sol invictus incarnava l’invincibilità. “Nel mondo greco-romano si intese per la prima volta parlare di lui verso il 70 a.C. Soltanto nel II e III secolo il culto di Mitra, sapientemente organizzato sul tipo dei Misteri che avevano già toccato così profondamente l’antica Grecia, ottenne un successo straordinario”.
Commodo (180-192 d.C.) divenne un suo fervente adoratore. Ne invocava la protezione su se stesso e sull’impero. Aureliano introdusse la festa del 25 dicembre come festività natalizia in suo onore. I riti dei Misteri di Mitra, che si svolgevano in templi sotterranei e richiedevano un’iniziazione, comprendevano un battesimo in acqua e una sacra cena, consistente in pane e vino nei quali era presente lo stesso dio. Mitra infatti, dopo aver consumato questo suo ultimo pasto, salì al cielo portato dal carro del sole per unirsi all’astro diurno.
“Sotto molti aspetti il mitraismo rassomigliava alla massoneria, stabiliva gradi, ordini di iniziazione contraddistinti da nomi bizzarri, prove successive, un digiuno di cinquanta giorni, terrori, flagellazioni. Si credeva all’immortalità degli iniziati, a un Paradiso per le anime pure”. I suoi preti “formavano un clero con diversi ordini, una santa milizia, ritirata dal mondo, con le sue regole. Questi preti avevano un’aria grave e, come diremmo noi, ecclesiastica: erano tonsurati, mitriati e portavano un costume particolare”.
Le somiglianze tra mitraismo e cristianesimo romano erano così sorprendenti che Giustino e Tertulliano vi scorsero un plagio satanico. Giustino nella sua Apologia scrisse che “i funesti demoni ricopiarono tale atto, introducendolo anche nei misteri di Mitra”. In realtà la cena sacra del culto di Mitra precedeva di secoli l’eucarestia. Nella sacra cena in onore di Mitra, che dal paganesimo passò al cristianesimo attraverso lo gnosticismo, confluiva l’antichissima credenza che la divinità fosse presente nel grano maturo e quella che la divinità fosse presente nell’uva matura.
Per chiarire come i pagani credevano di mangiare il loro dio presente nel pane dobbiamo partire dalla religione dell’antico Egitto. Osiride era di razza nera come Nimrod e rappresentava il “seme” promesso. Spiegò infatti A. Hislop che Osiride, He Siri, vuol dire “il seme” con un chiaro riferimento al “seme della donna” di Genesi 3:15 e che Isi o Iside vuol dire appunto “donna”. Questa era sorella e sposa di Osiride come Eva lo era per Adamo e rappresentava Semiramide, che si credeva la reincarnazione di Eva.
Osiride era stato ucciso dal diabolico Seth (Sem) ma risorgeva ogni anno nel germogliare del grano dopo l’inondazione annuale del Nilo. Nel grano c’era lo spirito di Osiride. Come dimostrò James George Frazer, antropologo scozzese (1854-1941), quando, verso aprile, nell’antico Egitto si mieteva il grano, si credeva che Osiride morisse di nuovo sotto la falce, simbolo della morte, e che il suo spirito fosse nel primo covone; in altri paesi era nell’ultimo. Il pane che veniva fatto da quel covone si credeva che contenesse lo spirito della divinità stessa, cioè del sole che lo aveva fatto germogliare. I culti di Osiride, Tammuz, Attis e Adone avevano lo stesso significato e le rispettive sedi in Egitto, in Babilonia, in Frigia e in Siria.
Il mangiare di quel pane sacro voleva dire mangiare iddio, come nel culto dell’adorazione del sole negli antichi popoli europei e nell’America precolombiana. “Possiamo ben definire il pasto delle primizie come un sacramento o comunione con una divinità. Gli antichi messicani, prima dell’arrivo dei missionari cristiani, conoscevano pienamente la dottrina della transustanziazione e l’applicavano nei riti solenni della loro religione. Credevano che i preti, consacrando il pane, lo trasformassero nel corpo medesimo del loro dio, sì che quanti ne mangiavano entravano in mistica comunione con la divinità col riceverne una parte entro di loro.
La dottrina della transustanziazione o trasformazione magica del pane in carne, era familiare anche agli antichi Ariani dell’India, molto prima che fosse, non solo diffuso, ma persino apparso il cristianesimo”. Nelle tradizioni e nei riti pagani legati all’adorazione del sole troviamo molte cose in comune con il Cattolicesimo: l'altare rivolto ad oriente, da dove sorge il sole e dove veniva esposto il disco solare, la stola, il copricapo dei vescovi (che si chiama ancora mitra come il dio persiano), le vesti, i colori, l'uso dell'incenso, l'aspersorio, i lumi accesi davanti all'altare, le genuflessioni e, non ultimo, l'oggetto più rappresentativo del rito cristiano, quello della esposizione dell'ostia che è contenuta dentro un disco da dove partono e si irradiano i raggi solari: l'ostensorio.
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Inserito il - 05 March 2014 : 13:36:40 Adone era come Nimrod un grande cacciatore, amato follemente da Afrodite, come Nimrod lo era da Semiramide.
Afrodite era Astarte in Siria e Militta o Ishtar in Caldea e in Assira. Ucciso da un cinghiale durante una partita di caccia, Adone fu pianto a lungo dalla dea. Il suo pianto commosse Persefone, dea dell’Oltretomba, che consentì a far tornare in vita il giovane per sei mesi all’anno, facendo fiorire i prati e fruttificare la terra.
Gli anemoni rossi che fioriscono a primavera erano gocce del suo sangue. A Roma le vestali di Cerere, la dea delle piante alimentari (che perciò si chiamano ancora oggi cereali), all’equinozio di primavera portavano in processione delle uova benedette. Le uova erano tinte di rosso, il colore del sangue di Attis o Adone, nume protettore di tale vegetazione, che a primavera tornava in vita come Osiride in Egitto e Tammuz in Oriente. Le uova benedette e colorate erano dunque una consuetudine dei riti primaverili romani. La Messa e il sacerdozio.
La presenza di Dio nel pane e nel vino La dottrina che nel pane azzimo e nel vino dell’Ultima Cena fosse presente Gesù Cristo in carne ed ossa fu espressa per la prima volta da Giustino Martire nel capitolo LXVI dell’Apologia.
Era circa il 153. Giustino credeva nell’incarnazione del logos platonico nella persona di Gesù Cristo. Di conseguenza pensò che come il logos si era incarnato nel ventre di Maria poteva continuare a farlo ogni volta nel pane e nel vino eucaristici.
Non parlò di “transustanziazione” ma di metabolé, di trasformazione. Nonostante ciò Ireneo, che visse nella seconda metà del II secolo, scriveva ancora: “Offriamo a Dio il pane e la coppa della benedizione... cosicché coloro che riceveranno questi antitipi ottengano la remissione dei peccati e la vita eterna. Coloro infatti che compiono questa offerta in memoria del Signore non seguono i precetti degli ebrei, ma, compiendo una liturgia spirituale, meritano il nome di figli della sapienza”. Ireneo parlò di “antitipi” per gli emblemi della Cena e questa veniva celebrata “in memoria del Signore”.
L’eucarestia al suo tempo era ancora una commemorazione e non un sacrificio. Alla fine del II secolo si cominciò a ritenere che nel rito domenicale dell’eucarestia si rinnovasse ogni volta il sacrificio di Cristo sull’altare, “attribuendo al pane e al vino la sostanza del corpo e del sangue di Gesù, in un modo oscuro, che i padri di allora non si preoccupavano di definire con troppa precisione, come avverrà nell’elaborazione teologica successiva”.
Fu allora che la dottrina della presenza di Cristo negli emblemi della Santa Cena si impose progressivamente nella Chiesa e ciò avvenne a causa dell’influenza dello gnosticismo. L’ostinato docetismo degli gnostici, la loro attribuzione dei due Testamenti a due diverse divinità, la loro ostilità verso il matrimonio, la loro negazione della resurrezione e del giudizio si erano infranti inizialmente contro lo scoglio della disciplina ecclesiastica, rappresentata dall’episcopato.
Ma l’opposizione fu di breve durata. Si pensò che quell’eresia diventava sempre più forte perché la si combatteva. Per vincerla era meglio fagocitarla. Da allora fu sorprendente l’influsso della mistica gnostica sulla liturgia cattolica.
L’unzione al letto di morte degli ammalati fatta dagli gnostici fu adottata dalla Chiesa di Roma, così come la cresima quale conferma del battesimo. Come scrisse A.Donini, tutti i sacramenti degli gnostici passarono pari pari nel Cattolicesimo: battesimo, cresima, comunione, matrimonio, estrema unzione e ordinazione sacerdotale.
Scrivevano infatti gli gnostici: “Il Signore fece ogni cosa in un mistero: un battesimo, un’unzione, un’eucarestia, una redenzione, una camera nuziale ” (Vangelo secondo Filippo NH II, 3, 67, 27-30). La Chiesa cattolica chiamò come gli gnostici mysterion l’iniziazione al culto, termine tradotto in latino con sacramentum.
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gattosilvestro67 |
Inserito il - 25 February 2014 : 08:04:46 Nel 196 il vescovo di Roma Vittore (189-199), convinto di essere il successore di San Pietro e quindi il capo della Chiesa universale, pretese una volta per tutte che le Chiese di tutto l’impero si adeguassero alla prassi romana della Pasqua domenicale annuale.
Inviò una lettera circolare ai principali vescovi, comandando loro di tenere delle riunioni nelle loro province per farvi adottare la consuetudine romana: l’osservanza del venerdì e della domenica di Pasqua invece del giorno esatto del 14 e del 16 nisan. Qualche vescovo si allineò all’invito di Vittore, ma il sinodo dei vescovi orientali presieduto da Policrate, vescovo di Efeso, rispose a nome delle Chiese dell’Asia Minore che non si potevano allontanare da una consuetudine sancita dagli apostoli e trasmessa da Policarpo, Papirio, Melitone e da tutti i vescovi che avevano celebrato la Pasqua il 14 nisan.
Vittore allora, che aveva la scomunica facile, tanto che nel 190 l’aveva usata contro Teodato di Bisanzio perché monarchiano adozionista, scomunicò tutte le Chiese dell’Asia. Per la prima volta “Roma ha proclamato il suo diritto, pericoloso diritto, di scomunicare coloro che non procedono in tutto e per tutto con lei”. Ireneo di Lione, che era per l’unità della Chiesa, scrisse una lettera a Vittore per convincerlo a ritirare la scomunica, accusandolo di fare il dittatore.
Vittore rinunciò alla scomunica non tanto per la lettera di Ireneo ma perché la maggioranza dei vescovi si indignò. Comunque, da allora in poi, la vita dei quattuordecimani non fu facile. Furono accusati da Roma di giudaismo, di trascurare la resurrezione di Cristo e così via. Nel 325, al concilio di Nicea, l’imperatore Costantino fissò con autorità assoluta la data della Pasqua cattolica alla domenica successiva alla Pasqua ebraica per tutte le comunità dell’impero. Gli orientali furono costretti ad accettare le disposizioni imperiali e in seguito, al concilio d'Antiochia del 341, abbandoneranno definitivamente l'usanza di celebrare la Santa Cena il 14 Nisan.
Ma Costantino, non contento di questo successo, inserì nella festa di Pasqua tutte le cerimonie pagane della primavera, compresa quella delle uova, secondo una tradizione che aveva le sue lontane radici a Babilonia. Spiegò A. Hislop che “il nome ebraico per uovo è baitz o, al femminile, baitza. Esso in caldeo e fenicio diviene baitho o baitha, che in queste lingue è anche il modo abituale in cui è pronunciata la parola ‘casa’. L’arca galleggiante sulle acque del Diluvio che conteneva il mondo era una casa con gli elementi del nuovo mondo nel suo seno.
La discesa dell’uovo dal cielo è un evidente riferimento alla preparazione dell’arca per espresso desiderio di Dio e ad essa sembra chiaramente riferirsi la storia egiziana dell’ “uovo del mondo”, che si diceva provenisse dalla bocca del grande Dio. L’uovo era nelle acque sollevate in onde dal potere creativo. La colomba che si posava sull’uovo non ha bisogno di spiegazioni”.
L’uovo mistico di Babilonia, l’uovo del mondo, simboleggiava l’arca di Noè, nella quale durante il Diluvio era racchiusa la vita degli uomini e degli animali, proprio come il pulcino è chiuso nell’uovo. Quell’uovo divenne nel paganesimo un simbolo di ritorno alla vita, di resurrezione. È quindi probabile che anche quella tradizione passasse nella Chiesa romana al tempo di Costantino come simbolo della Pasqua di resurrezione di Cristo.
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gattosilvestro67 |
Inserito il - 12 February 2014 : 19:37:07 Pio I prese la decisione di celebrare la Pasqua nella domenica seguente il plenilunio di marzo. Nel 155, quando Pio morì, il suo successore Aniceto (155-166) tentò di imporre a tutta la cristianità la Pasqua domenicale romana e l’eucarestia ogni domenica.
Allora un vescovo orientale, Policarpo di Smirne, in veste di difensore della celebrazione dell’eucarestia il 14 nisan, venne apposta a Roma per discuterne con lui. Nessuno dei due riuscì a convincere l’altro ma accettarono entrambi l’unità della Chiesa nella diversità delle opinioni, come risulta dalla frase di Ireneo: “Comunicarono fra di loro” (ekoinosenan eautois).
Tuttavia oggi non mancano autori zelanti dell’ortodossia cattolica, i quali vedono in questa frase di Ireneo una partecipazione di entrambi all’eucarestia. Ciò ovviamente non poteva avvenire, altrimenti Policarpo avrebbe rinunciato ai suoi principi sulla celebrazione eucaristica annuale.
La divisione tra oriente e occidente continuò. Appena tornato a Smirne, il vecchio Policarpo, che aveva ottantasei anni, fu bruciato vivo sul rogo. Era il 23 febbraio dell'anno 155. I particolari della sua fine sono narrati dal Martyrium Polycarpi, di autore ignoto, che costituisce il più antico esempio di Acta Martyrum.
In esso leggiamo che fu inviato dalla Chiesa di Smirne "a tutte le comunità cristiane della santa Chiesa cattolica, che sono in ogni luogo". “Poiché adoriamo questo che è il Figlio di Dio; i martiri poi giustamente amiamo come discepoli e imitatori del Signore a cagione dell’insuperabile amore verso il proprio Re e Maestro; dei quali si faccia che anche noi diveniamo partecipi e condiscepoli!”. Non c’era dunque ancora la venerazione dei santi.
Il vescovo di Roma Eleuterio (175-189) volle risolvere questa disuguaglianza tra oriente e occidente restaurando in occidente la Pasqua cristiana annuale. Ma lo volle fare in un modo del tutto diverso da come la celebrava la Chiesa primitiva e da come continuavano a fare le Chiese orientali. Eleuterio si basò sul fatto che nell’anno della morte di Cristo la crocifissione aveva avuto luogo di venerdì. La Pasqua ebraica infatti in quell’anno coincideva con un venerdì o “giorno della preparazione del sabato”, come gli ebrei lo chiamavano.
Gesù risorse all’alba del terzo giorno, cioè la domenica mattina. Infatti il primo giorno fu quello in cui morì. Poi il sabato (secondo giorno) stette nel sepolcro e all’alba del primo giorno della settimana (o terzo giorno) risorse. Secondo Eleuterio era da celebrare la Sua resurrezione nel giorno di domenica ed emise l’ordine che per l’occasione si dovesse digiunare dal venerdì alla domenica.
Chiamò quella domenica “Pasqua”, anche se il termine era inadatto. Infatti la Pasqua (o sacrificio pasquale) degli ebrei serviva a ricordare loro la notte in cui in Egitto morirono i primogeniti degli egiziani, mentre i primogeniti degli ebrei furono risparmiati dal sangue dell’agnello spruzzato sull’architrave e sugli stipiti delle loro porte. La morte degli agnelli, sacrificati al tramonto del 13 e mangiati nella notte in cui era iniziato il quattordicesimo giorno, prefigurava la morte di Cristo e il suo sangue versato, che risparmiava la Chiesa eletta dalla condanna a morte che Dio aveva decretato per Adamo e la sua posterità.
Per tale motivo “l’Agnello di Dio”, Gesù Cristo, morì nel giorno di Pasqua. Dunque la Pasqua doveva essere per i cristiani il giorno giusto per commemorare il sacrificio dell’Agnello antitipico e non per ricordare la sua resurrezione, che non avvenne per Pasqua ma due giorni dopo.
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gattosilvestro67 |
Inserito il - 07 February 2014 : 14:57:46 L’eucarestia domenicale e la Pasqua di resurrezione.
I cristiani delle Chiese occidentali allo “spezzare il pane” il primo giorno della settimana cominciarono ad attribuire il significato di comunione eucaristica.
Ma erano pur sempre una minoranza a farlo perché “il cristianesimo si era diffuso maggiormente nella parte orientale dell’Impero, meno in quella occidentale e latina. A quell’epoca villaggi della Palestina e della Frigia erano interamente cristiani”. Mentre per le comunità orientali la Santa Cena continuava ad essere annuale, per la Chiesa romana e per le comunità occidentali doveva essere commemorata ogni domenica mattina perché la fractio panis non era altro che l’eucarestia.
Cessò così in quella parte dell’impero la celebrazione annuale della Cena del Signore per Pasqua. La festa domenicale della resurrezione sparì per far posto alla commemorazione domenicale (invece che annuale) della morte del Signore.
Giustino Martire, che intorno al 150 collaborava col vescovo di Roma Pio I nella battaglia contro lo gnosticismo, scrisse che le riunioni settimanali dovevano avvenire “nel giorno chiamato ‘giorno del sole’” o “giorno di Saturno” (1 Apologia, 67, 3-8).
La domenica infatti era “il giorno del sole” per i pagani di Roma ma non solo per loro, tant’è vero che in inglese si chiama Sunday e in tedesco Sonntag. Quindi la Chiesa occidentale, che fino ad allora aveva chiamato il primo giorno della settimana dies dominica o giorno del Signore per ricordare la Sua resurrezione, cominciò a chiamarlo come i pagani “giorno del sole”.
I cristiani d’Oriente invece continuarono a celebrare la Santa Cena o eucarestia una volta all’anno, il 14 nisan. Gesù infatti in quello stesso giorno di Pasqua , fece l’ultima cena subito dopo il tramonto del 13 nisan, stabilì la cerimonia della commemorazione della sua morte, fu catturato e processato nella notte, fu crocifisso verso mezzogiorno e alle tre del pomeriggio, poco prima dell’inizio del giorno 15 di nisan, morì.
I cristiani d’oriente continuavano a considerare Gesù Cristo l’agnello pasquale antitipico, immolato nel giorno pasquale. Le numerose Chiese dell’Asia Minore, che conservavano gelosamente la tradizione apostolica, non erano affatto d’accordo nel celebrare la Santa Cena ogni domenica e nel chiamare “Pasqua” la domenica successiva al 14 nisan.
“Secondo l’apocrifo Lettera degli apostoli, la Pasqua del 14 nisan era la commemorazione annuale della passione di Cristo nel corso di una veglia di preghiera che terminava al canto del gallo.
Questa epistola risalirebbe al 140-160 e sarebbe di origine asiatica”. La Chiesa di Roma cominciò a chiamare con disprezzo quelli d’Oriente quattuordecimani, come se fossero una setta a sé stante.
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gattosilvestro67 |
Inserito il - 31 January 2014 : 14:24:10 Le ragioni per cui cessarono le riunioni di sabato.
“I Giudei convertiti da poco al cristianesimo si radunavano ovviamente il giorno di sabato per studiare gli adempimenti in Cristo della Legge e dei profeti, alla luce del loro nuovo punto di vista, e per esortarsi nel loro amore per questa nuova dottrina tanto più che vedevano avvicinarsi il giorno millenario.”
Infatti essi sapevano di non essere più sotto la Legge di Mosè e di non dovere più osservare il sabato nel modo in cui lo facevano i loro connazionali. Insegnava infatti San Paolo a Giudei e a Gentili: “Nessun (uomo) dunque vi condanni riguardo al mangiare o al bere o rispetto a feste o a lune nuove o a sabati, che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire , ma la realtà è Cristo” (Colossesi 2:16, 17).
Ma i Giudei divenuti cristiani approfittavano di quel giorno di riposo per fare insieme uno studio della Sacra Scrittura. “Il fatto che gli apostoli approfittassero del giorno di sabato e delle sinagoghe ebraiche per far conoscere il Vangelo di Cristo non può significare un’accettazione da parte loro del sistema giudaico e della Legge giudaica come un giogo sulla Nuova Creazione.”
Tuttavia i cristiani provenienti dal giudaismo cessarono nel II secolo di riunirsi il sabato. La ragione per cui lo fecero ha una base storica. Negli anni del regno di Adriano vi fu un periodo di pace in tutto l’impero. Questa tranquillità fu turbata dalla seconda rivolta giudaica (132-135), guidata da Simone Bar Kocheba (figlio della stella), salutato dagli ebrei come Messia. Il motivo fu che Adriano nel 130 voleva costruire sul sito di Gerusalemme una città romana (Aelia Capitolina) e al posto del tempio di Jehovàh un tempio dedicato a Giove, dove lui stesso avrebbe dovuto essere oggetto di culto.
La seconda guerra giudaica fu feroce e domata nel sangue. Simone Bar Kocheba salì sul patibolo e la città romana fu costruita. Per quasi due secoli in Aelia Capitolina non fu consentito l’accesso agli ebrei. Per reazione Adriano proibì nell’Impero il culto giudaico e in particolare vietò la circoncisione e l’osservanza del sabato. Proprio nel 135 il rabbi Giuda il santo cominciò la redazione, durata un sessantennio, della Mishnah, codificazione della legge orale ebraica e fondamento del Talmud.
Il popolo di Israele si preparava alla lunga diaspora. E le riunioni di sabato per i cristiani? Cessarono. Non subito ma poco dopo. Riunirsi il sabato per i cristiani non era proibito ma sapeva pur sempre di giudaismo e cominciava ad essere pericoloso. La predicazione antigiudaica di Marcione a Roma e nelle altre parti dell’Impero fece il resto. “Alla fine del II secolo, il sabato tra i cristiani è quasi soppresso.
Tenerci pare una manifestazione di giudaismo, un cattivo segno. Le prime generazioni cristiane celebravano il sabato e la domenica, la prima volta in ricordo della creazione, la seconda volta in ricordo della resurrezione; più tardi tutto si concentrò sulla domenica”.
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olly |
Inserito il - 12 January 2014 : 18:30:12 cosa posso rispondere a un mio amico evangelico con la bibbia ? <<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<< Tu scrivi: Perciò la fractio panis domenicale non poteva (e non doveva) essere confusa con la Santa Cena Rispondo: E quando, allora, si parlerebbe della “Santa Cena” nel Nuovo Testamento? Quando si sarebbe verificato nella chiesa degli Atti degli apostoli il “fate questo in memoria di me”? Se si toglie Atti 2, 46 e Atti 20, 7 non c’è traccia della cena del Signore nel Nuovo Testamento.
Tu scrivi: “Si osservava il primo giorno della settimana molto tempo prima di Costantino, non come un obbligo, ma liberamente, come un privilegio”. Rispondo: Atti 20, 7 / I Corinzi 16, 2 mostrano che esisteva nella chiesa primitiva la consuetudine di ritrovarsi insieme per adorare Dio. L’indicazione del primo giorno della settimana ci viene sia dal racconto sui discepoli di Emmaus (Luca 24, 13 stesso giorno della risurrezione), sia dalle due apparizioni di Gesù fatte agli apostoli e raccontate da Giovanni (20, 19 e 20, 26). Che poi fosse un privilegio è vero, così come è un privilegio essere cristiani.
Tu scrivi: ...dell’uso nella Chiesa primitiva di Gerusalemme di “spezzare il pane insieme” il primo giorno della settimana (Atti 20:7). Rispondo: Atti 20, 7 non parla della primitiva chiesa di Gerusalemme ma della chiesa di Troas (vedi v. 6) che si trova nell’Asia Minore quindi molto lontana da Gerusalemme.
Tu scrivi: “Spezzare il pane” era un’antica espressione idiomatica che per gli orientali equivaleva a “consumare un pasto insieme” (Atti 27:35,36). Rispondo: In Atti 2, 46 vien fatto vedere che “rompere il pane” e “prendere il cibo insieme” siano due cose distinte l’una dall’altra. Mentre il “rompere il pane” aveva il senso di ricordare la morte e risurrezione di Gesù (cioè quello di cui parla I Corinzi 10, 16-17), il “prendere il cibo insieme” aveva il senso del pasto in comune. La primitiva chiesa di Gerusalemme faceva questo tutti i giorni, “rompere il pane” e “prendere il cibo insieme”. E nel passo che tu citi (Atti 27, 35-36) Paolo fa probabilmente la stessa cosa, non importa se è non è il primo giorno della settimana.
Tu scrivi: Gesù risorto nello spirito, materializzandosi con altre sembianze rispetto a quelle che aveva come uomo, non fu da loro riconosciuto. Rispondo: Comunque Gesù fece colazione a base di pane e pesce insieme ai suoi discepoli (Giovanni 21, 12-15) per cui non era proprio spirito. Certamente non era lo stesso corpo che era stato crocifisso ma un corpo glorioso (vedi I Corinzi 15, 42-44). Mi sono sempre chiesto come io risorgerò: risorgerò con il corpo che avevo a 20 anni? o con quello che avrò a 114 anni? Certo, sarebbe preferibile risorgere con un corpo giovane e magari anche bello, più di quanto non fosse stato in questa vita terrena. E se invece il corpo con cui risorgeremo fosse una “media” di tutte le varie forme e aspetti che aveva assunto nel corso degli anni vissuti si questa terra? ecco allora che non sarebbe più tanto facilmente riconoscibile a prima vista ma solo dopo che un “qualcosa” avesse “aperto” gli occhi della fede, come avvenne sia nel caso della Maddalena (Giovanni 20, 14-16), che nel caso dei discepoli di Emmaus (Luca 24, 35). Solo Giovanni aveva già “aperti” gli occhi della fede: Giovanni 20, 8) e aveva riconosciuto il Signore (Giovanni 21, 7).
E per quanto riguarda la pasqua, essa è una festa celebrata una volta all'anno da Israele, come ricordo della sua liberazione dalla schiavitù d'Egitto. Per i cristiani non è più necessario ricordare quell'evento: infatti per tutti i cristiani non ebrei - e sono ed erano la stragrande maggioranza - non aveva nessun senso il celebrarla. Inoltre, per il cristiano, che sia ebreo di razza oppure no, ma se è cristiano dovrà ricordare la sua liberazione non dalla schiavitù, fisica, dell'Egitto, bensì dalla liberazione spirituale dal peccato; e questo lo fa ricordando la morte e risurrezione di Gesù: Morte e risurrezione di Gesù sono la vera liberazione e la pasqua del cristiano è solo Cristo (I Corinzi 5, 7). Non c'è altra pasqua per il cristiano |
gattosilvestro67 |
Inserito il - 11 January 2014 : 07:56:07 Questo articolo risponderà alla tua domanda. Pace. |
olly |
Inserito il - 10 January 2014 : 11:22:25 i cristiani sono tenuti a tenere la santa cena tutte le domeniche ? |
gattosilvestro67 |
Inserito il - 10 January 2014 : 07:07:36 Il primo giorno della settimana e la fractio panis.
Accadde poi che dopo la Pentecoste dell’anno 33 si instaurò una consuetudine apostolica: il primo giorno della settimana i cristiani si riunivano per commemorare la resurrezione di Cristo, che era apparso a due discepoli sulla via di Emmaus proprio in quel giorno. Gesù risorto nello spirito, materializzandosi con altre sembianze rispetto a quelle che aveva come uomo, non fu da loro riconosciuto.
Spiegò loro le Scritture e, postosi aa tavola con loro, si fece riconoscere spezzando il pane e dandolo loro (Luca 24:13-35). Non era certamente la cena del Signore che stavano mangiando.
Lo riconobbero probabilmente perché disse una sua consueta benedizione sul pane, una benedizione che era loro familiare, o perché fece ciò in un modo tipico di Gesù Cristo. Poi sparì. “Spezzare il pane” era un’antica espressione idiomatica che per gli orientali equivaleva a “consumare un pasto insieme” (Atti 27:35,36).
Per ricordare la resurrezione di Gesù e l’incontro di Emmaus con Lui, i cristiani di Gerusalemme si riunivano il primo giorno della settimana e spezzavano insieme il pane. Era la fractio panis.
È negli Atti degli apostoli che si narra dell’uso nella Chiesa primitiva di Gerusalemme di “spezzare il pane insieme” il primo giorno della settimana (Atti 20:7). Era un momento di gioia e non di tristezza, perché non si ricordava la morte del Signore come il 14 nisan ma la sua resurrezione (Atti 2:42,46).
Il pane che si condivideva era lievitato, essendo quello comunemente presente sulle tavole, e non quello azzimo pasquale, usato dai cristiani solo per commemorare la Santa Cena. “Il pane spezzato in questa circostanza non rappresentava il suo corpo ferito o il suo sangue sparso ma la verità vivificante che Lui distribuì loro e grazie alla quale i loro cuori furono nutriti di grandi speranze per l’avvenire, garantite dalla sua resurrezione dai morti.
Non si parla mai del ‘calice’ quando si tratta della ‘frazione del pane’”.
Perciò la fractio panis domenicale non poteva (e non doveva) essere confusa con la Santa Cena.
“Si osservava il primo giorno della settimana molto tempo prima di Costantino, non come un obbligo, ma liberamente, come un privilegio”.
Riguardo all’osservanza del primo giorno della settimana da parte della Chiesa primitiva “è inesatto pretendere … che questo giorno fosse considerato un sabato cristiano come invece farà la Chiesa Cattolica Romana”.
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