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Lasciato il - 11 February 2010 : 13:41:33
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Perchè commemoriamo l'ultima cena del Signore Gesù? ffff Perchè è un Suo preciso comandamento: Egli disse quella sera: "Fate questo in memoria di me" Luca 22:19.
La partecipazione agli "emblemi" del pane e del vino alla Cena del Signore, è riservata a coloro i quali hanno consacrata la loro vita, battezzandosi nello spirito di Cristo e nella sua morte, le "primizie" del regno dei cieli, ai quali è riservata la promessa risurrezione spirituale al ritorno del loro Messia. Con tale partecipazione essi rinnovano, in questa occasione, la loro consacrazione e fedeltà al loro Signore, riconoscendosi membri dello stesso "corpo di Cristo", e quindi in intima comunione con Gesù e con tutti coloro che formano tale corpo.
La data della Pasqua Ebraica è il 15 Nisan quando Dio ha comandato di celebrare la Pasqua e di uscire dall'Egitto. L'agnello veniva ucciso il 14 Nisan. La Pasqua Cristiana, la commemorazione del ultima cena di Gesù, si celebra dopo la tramonto del 13 Nisan cioè il 14 Nisan quando Gesù fece la cena con i suoi discepoli prima di essere crocifisso.
Una cosa dobbiamo ricordare che il giorno ebraico inizia dal tramonto al tramonto (circa 18:00 per la media), non come noi, da mezzanotte a mezzanotte, bisogna afferrare questo punto per calcolare la Pasqua Cristiana.
N.B. In tale divisione non si aveva riguardo alla differenza di lunghezza dei giorni, così le ore variavano a seconda delle stagioni, oscillando fra 49 e 71 minuti. (Diz.Biblico -Claudiana).
Un esempio ... sappiamo che, Pesach, Pasqua Ebraica 15 Nisan, cade il martedì 30 Marzo del anno 2010. Il 14 Nisan cade il giorno prima, cioè lun 29. Dato che il giorno ebraico inizia alle 18 del giorno precedente, l'ora della celebrazione dell'ultima cena è il 28 dopo tramonto.
Secondo i Vangeli Gesù non ha celebrato la Pasqua Ebraica quell'anno perche egli era l'Agnello sacrificato per tutto il mondo. Quindi all'ultima cena, Gesu' uso' pane comune, non azzimo. Vedi: http://www.softgrafic.com/bibbia/pasqua_perche-commemorazione.htm
Per approfondimenti vedi: http://www.softgrafic.com/bibbia/crediamo.htm http://www.softgrafic.com/bibbia/pasqua_istituzione.htm
http://www.softgrafic.com/bibbia/pasqua_nell'anno-solare.htm http://www.softgrafic.com/bibbia/pasqua_14-15-nisan.htm http://www.softgrafic.com/bibbia/pasqua_secondo-vangeli-ebrei.htm http://www.softgrafic.com/bibbia/pasqua_2-sabati.htm http://www.softgrafic.com/bibbia/pasqua_incongruenze.htm
Scritto Da - ren il 13 Febbraio 2010alle ore 07:46:35
Scritto Da - ren il 14 Maggio 2010alle ore 09:39:38
Scritto Da - ren il 24 Novembre 2012alle ore 06:26:32
Scritto Da - ren il 24 Novembre 2012alle ore 06:27:39
Scritto Da - ren il 23 Gennaio 2015alle ore 08:16:44 |
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Lasciato il - 09 March 2010 : 14:55:03
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Pongo una domanda: perché la chiamate “pasqua cristiana”? Non si tratta della Pasqua. Il nome corretto è quello che le dà Paolo: “Cena del Signore” (1Cor 11:20). Inoltre, personalmente, evito di usare la parola “cristiano”. Questo appellativo fu dato ai primi discepoli di Yeshùa con intento dispregiativo. Per fare un esempio, è come chiamare “russelliti” gli Studenti Biblici o “geovisti” i Testimoni di Geova. |
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gattosilvestro67
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Lasciato il - 10 March 2010 : 11:55:58
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Sono d’accordo con te sul termine “Pasqua cristiana”.Non è corretto. In realtà il discepolo di Gesù è invitato a partecipare alla “Cena del Signore” e non a celebrare la Pasqua che fu una festa data da osservare al popolo ebraico. Colgo l’occasione per fare una domanda: alcuni studiosi della Bibbia sono divisi sull’argomento se Gesù prima di istituire la Santa Cena abbia o no mangiato la Pasqua ebraica. Se puoi darci il tuo intendimento ne sarei felice. Grazie. |
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Lasciato il - 10 March 2010 : 20:32:09
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Caro CieloSegreto, ma allora con quale nome vorresti chiamare quelle persone che seguono o si sforzano di seguire Cristo? Ti saluto nel Signore Gesù
Scritto Da - ren on 10 Marzo 2010 20:33:03 |
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Lasciato il - 12 March 2010 : 07:16:05
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Ciao, Gattosilvestro. Non è possibile che Yeshùa abbia celebrato la Pasqua prima di morire. Prima di tutto, l’ultima cena avvenne le sera dopo la dine del 13 nissàn, all’inizio del 14, mentre l’agnello pasquale doveva essere scannato nel pomeriggio del 14 e consumato all’inizio del 15. Inoltre, ci sono ci sono altri fattori che indicano che quell’ultima cena non poteva essere la Pasqua. “Mentre veniva preparato il pasto serale” (Gv 13:2, TNM): è questo il primo particolare che attira la nostra attenzione in questa disamina di quell’ultima cena. Intanto, è definito un pasto serale. Si noti che in precedenza i discepoli avevano domandato a Yeshùa: “Dove vuoi che ti prepariamo la Pasqua?” (Mt 26:17). Ora però non si dice che stessero preparando la Pasqua, ma il pasto serale. Per di più – a parte il giorno sbagliato (era infatti l’inizio del 14 di nissàn) - non si sarebbe potuto preparare la Pasqua in quel momento: essa avrebbe dovuto essere preparata ben prima (scannare l’agnello, scuoiarlo, pulirlo, arrostirlo). Ciò doveva essere fatto nel pomeriggio del 14, il giorno della preparazione. Impariamo dalla Bibbia non solo da quanto dice, ma anche da quanto non dice. E circa quella sera del 14 nissàn essa non dice nulla dei classici preparativi che gli ebrei facevano per la Pasqua: semplicemente non li fecero. Tutto questo accadeva infatti “prima della festa della Pasqua”. - Gv 13:1. “Mangiavano” (Mt 26:21): il linguaggio è quello quotidiano. Un gruppo di amici si riunisce e prepara la propria cena. Si mettono a tavola. E cenano: semplicemente “mangiavano”. Le donne sono assenti. Se si pensa a quello che è – “un pasto serale” tra il maestro e i suoi discepoli – non colpisce l’assenza di donne. Ma se si vuol far passare questa cena per una cena pasquale, stride allora l’assenza di donne. Nella tradizione ebraica, la Pasqua era una festa da celebrare in famiglia: “Ognuno prenda un agnello per famiglia, un agnello per casa”; “Se la casa è troppo poco numerosa per un agnello, se ne prenda uno in comune con il vicino di casa” (Es 12:3,4). In quell’occasione gli ebrei erano festosi. partecipavano alla cena pasquale le famiglie intere. Anche i bambini erano protagonisti (Es 12:26,27). E dove erano Maria di Magdala, la suocera di Pietro, Marta, Miryàm, e tutte le altre che seguivano solitamente Yeshùa? ‘Il boccone intinto nella scodella’ (Mr 14:20). Questo elemento stupisce grandemente se si vuol pensare ad una cena pasquale. Il termine boccone è nel greco del testo ψωμίον (psomìon); si tratta di un diminutivo che indica un pezzetto di pane. Si tratta di pane comune, non di pane azzimo (in greco c’è un vocabolo specifico per azzimo: ἄζυμος, àzümos). Ora, se si trattasse della Pasqua, questo pezzetto di pane non poteva essere presente: a Pasqua si potevano mangiare solo pani azzimi. Questo pezzetto di pane viene poi intinto in una scodella. Questo particolare imbarazza gli esegeti che sostengono che si trattasse di una cena pasquale. Perché? Perché il pane azzimo non si presta a essere intinto: è molto secco e si sbriciolerebbe la le dita. Per di più che ci faceva lì una scodella con dell’intingolo in cui inzuppare del pane? Alcuni commentatori cercano di superare il problema facendo notare che Dt 16:7 dice: “Farai cuocere la vittima”; essi fanno anche notare che il verbo ebraico qui impiegato per “cuocere” (בשל [bashàl]) significa sia cuocere che bollire; per cui, secondo loro, l’agnello poteva essere lessato e mangiato poi con degli intingoli. Il verbo ebraico – è vero – può significare sia cuocere che bollire, ma il fatto è che può significare sia l’uno che l’altro. Che qui si possa, anzi si debba escludere il significato di bollire (l’agnello pasquale) è provato da Es 12:9: “Non mangiatelo poco cotto o lessato nell'acqua, ma sia arrostito al fuoco”. Sostenere quindi che Yeshùa abbia consumato un agnello lessato o in umido con un intingolo in cui inzuppare un pezzetto (comunque) di pane, è antiscritturale. La presenza di un intingolo, una scodella in cui inzuppare del pane e del pane adatto a essere intinto sono del tutto estranei alla una cena pasquale. “Prese un pane” (Mt 26:26). Il vocabolo greco tradotto pane è qui ἄρτος (àrtos): è la stessa identica parola impiegata nella preghiera modello che Yeshùa indicò: “Dacci oggi il nostro pane [greco ἄρτον (àrton)] quotidiano” (Mt 6:11). Per il pane azzimo di Pasqua la Bibbia usa il termine greco ἄζυμος (àzümos): “Celebriamo dunque la festa [qui Paolo parla della Pasqua che i discepoli devono osservare], non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi [greco ἀζύμοις (azΰmois)]”. - 1Cor 5:8. “Uscirono” (Mt 26:30): se fosse stata davvero la Pasqua, Yeshùa – giudeo osservante – avrebbe commesso una violazione della Legge. Infatti, era notte (Mt 26:31,34). Dt 16:7 prescriveva: “La mattina te ne potrai tornare”. La notte di Pasqua doveva essere trascorsa all’interno della casa. Il fatto che uscirono di notte indica che quella non era la notte di Pasqua. “Li trovò addormentati” (Mt 26:43). La notte di Pasqua doveva essere una notte di veglia: “Questa è la notte di veglia in onore del Signore per tutti i figli d'Israele, di generazione in generazione” (Es 12:42). Il fatto che i discepoli dormissero indica che per loro era una notte come le altre, se pur così particolare. Yeshùa era perfettamente consapevole del suo prossimo sacrifico e passò quella notte in preghiera. I discepoli, confusi, semplicemente dormivano vinti dalla stanchezza. Possibilità di fare acquisti. “Gesù gli disse: ‘Quel che fai, fallo presto’. Ma nessuno dei commensali comprese perché gli avesse detto così. Difatti alcuni pensavano che, siccome Giuda teneva la borsa, Gesù gli avesse detto: ‘Compra quel che ci occorre per la festa’” (Gv 13:27-29). I discepoli fraintendono l’allusione di Yeshùa. E ne emerge un dato importante per noi: fare acquisti, in quel 14 di nissàn, era possibile. Era un giorno feriale. Se fosse stato il giorno festivo della cena pasquale, sarebbe stato vietato fare acquisti. Quel giorno era lavorativo. “Mentre uscivano, trovarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la croce di Gesù” (Mt 27:32). Ciò accade durante quel 14 di nissàn. Se il giorno fosse stato festivo, Simone non avrebbe potuto portare quel peso (Es 20:8-11; Lv 23:1-3). Mr 15:21 specifica che questo Simone “passava di là, tornando dai campi”. Aveva terminato il suo lavoro: altro indizio che non si era in giorno festivo (in cui era vietato lavorare). Non era un giorno festivo. “I capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono . . . e deliberarono di prendere Gesù con inganno e di farlo morire. Ma dicevano: ‘Non durante la festa, perché non accada qualche tumulto nel popolo’”. – Mt 26:3-5. Non era il giorno di Pasqua. “Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua” (Gv 18:28). Quella mattina del 14 di nissàn gli ebrei non avevano ancora mangiato la Pasqua. L’agnello sarebbe stato scannato e preparato nel pomeriggio per essere consumato dopo il tramonto. Era in giorno della preparazione della Pasqua. “Era il giorno della Preparazione, e stava per cominciare il sabato” (Lc 23:54). “I Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato (poiché era la Preparazione e quel sabato era un gran giorno), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe, e fossero portati via” (Gv 19:31). I giudei si preoccupano di non lasciare i cadaveri esposti sui pali prima che inizi (dopo il tramonto) il giorno festivo, il 15 di nissàn, la Pasqua, detta anche “grande sabato” (come tutti i giorni delle Festività di Dio). Lo spezzamento delle gambe avrebbe affrettato la morte perché i condannati non avrebbero più potuto far leva sulle gambe per respirare. La Legge vietava di lasciare un cadavere sul palo durante la notte. – Lv 21:23. In conclusione, quella non fu davvero la notte di Pasqua. È indubbio che il giorno prima, il 13 nissàn, i discepoli intendessero preparare tutto per la Pasqua: “Dove vuoi che ti prepariamo la Pasqua?” (Mt 26:17). Seguendo le stesse istruzioni di Yeshùa, trovarono una casa temporanea – come prevedeva la Legge - in cui avrebbero celebrato la Pasqua. Il giorno dopo, il 14, durante il giorno di preparazione, avrebbero provveduto a sacrificare un agnello e a cuocerlo, per poi consumarlo sopraggiunto con la notte il giorno festivo del 15. Avrebbero poi trascorso quella notte pasquale del 15 all’interno di quella abitazione temporanea, vegliando. Questo intendevano fare. Sopraggiunta la sera, alla fine del 13 e all’inizio del 14, semplicemente prepararono una cena e la consumarono insieme. Il giorno seguente avrebbero avuto molto da fare per preparare la Pasqua. Questi preparativi, secondo un loro fraintendimento, avrebbero incluso forse anche degli acquisti che Yeshùa intendeva fare. Le cose però non andarono così. Yeshùa lo aveva desiderato, ma quello rimase solo un desiderio. “Egli si mise a tavola, e gli apostoli con lui. Egli disse loro: ‘Ho vivamente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima di soffrire’” (Lc 22:14,15). Il testo greco dice: Ἐπιθυμίᾳ ἐπεθύμησα τοῦτο τὸ πάσχα φαγεῖν μετ' ὑμῶν (epithümìa epethǜmesa tùto to pàscha faghèin met’ümòn), “con brama ho bramato questa Pasqua di mangiare con voi”. La poca comprensione che quella Pasqua lui non la mangiò fa perfino aggiustare le traduzioni: “Vi dico: Non la mangerò di nuovo finché non sia adempiuta nel regno di Dio” (v. 16, TNM). Quel “di nuovo” fa intendere che la mangiasse, ma si tratta di un’aggiunta del tutto assente nel testo biblico. La Bibbia dice: λέγω γὰρ ὑμῖν ὅτι οὐ μὴ φάγω αυτὸ lègo gar ümìn òti u me fàgo autò dico infatti a voi che non affatto mangerò essa La negazione οὐ μὴ (u me), “non affatto”, è molto forte: Yeshùa sta dicendo che non la mangerà per nulla, neppure un po’. Quella volta la Pasqua era lui stesso: era lui “l’agnello di Dio” che doveva essere immolato.
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Lasciato il - 12 March 2010 : 07:22:53
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Caro Ren, le persone che seguono Yeshùa credo vadano chiamate con il nome che la Bibbia dà loro: discepoli di Yeshùa. In tutta la Bibbia la parola “cristiano” compare solo tre volte. Non è quindi difficile esaminare questi tre passi e dedurre da essi il senso della parola. 1. “Ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani” (At 11:26). Per stessa dichiarazione della Scrittura, fu questa la prima volta che il nome venne dato ai discepoli di Yeshùa. L’avvenimento è collocabile a metà degli anni 40 del primo secolo della nostra èra, ovvero più di dieci anni dopo la morte di Yeshùa. Ciò accadde ad Antiochia, in Siria, fuori da Israele, in una nazione pagana. Luca, lo scrittore di Atti, dice che “i discepoli furono chiamati cristiani”. Già qui possiamo notare due aspetti: a) Luca li chiama “discepoli”; b) Luca dice che non furono i discepoli a darsi quel nome di “cristiani”, ma che essi “furono chiamati” così. Il nome che Luca usa per loro è quindi “discepoli”. Ma da chi “furono chiamati cristiani”? Evidentemente da gente di Antiochia che non apparteneva alla congregazione dei discepoli. In tal modo, quella gente affibbiava loro un epìteto. Dato che “cristo” significa – come si è visto – “unto”, era come definirli “untuani” o “messianisti”. Accade anche oggi che vengano affibbiati dei nomi con un che di denigratorio, come ad esempio quando si definiscono “russelliti” gli Studenti Biblici che furono guidati da C. T. Russel; oppure quando si definiscono “geovisti” i Testimoni di Geova. O, ancora, quando si definiscono “papisti” i cattolici. Quel nome di “cristiani” fu quindi un appellativo non molto cortese per classificare i discepoli di Yeshùa. Che così sia avvenuto è testimoniato anche da Tacito, che sotto l’imperatore Traiano (117-138 E. V.) scrisse: “Nerone senza strepito sottopose a processo e a pene straordinarie, perché invisi per i loro misfatti, coloro che il volgo chiamava cristiani. Il loro nome viene da Cristo, condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato sotto il regno di Tiberio”. - Tacito, Annales 15,44; corsivo e grassetto aggiunti per enfasi. Sbaglia quindi la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture quando traduce il passo così: “Fu ad Antiochia che per la prima volta i discepoli furono per divina provvidenza chiamati cristiani”. I traduttori di questa versione commettono qui almeno tre errori. Il più grave è quello di aggiungere una frase che non compare assolutamente nel testo greco: “per divina provvidenza”. Ecco il testo greco, traslitterato e tradotto letteralmente: chrematìsai te pròtos en Antiochèia tus mathetàs christianùs stati chiamati e per prima in Antiochia i discepoli cristiani “Per divina provvidenza” non compare affatto nel testo originale: è stato arbitrariamente aggiunto. E, come secondo errore, non è stato neppure posto tra parentesi quadre per indicare che è stato aggiunto dai traduttori. Il terzo errore è la conseguenza di questa manomissione: falsare il vero significato del testo. Se poi i traduttori hanno pensato di tradurre quel crhmat…sai (chrematìsai) col significato di “essere chiamati per divina provvidenza”, commettono un altro grave errore. Il verbo greco, infatti, è χρηματίζω (chrematìzo) e significa: “trattare, dare un nome”. Pare ovvio che in quel territorio pagano i detrattori dei discepoli di Yeshùa trovarono un nome (cristiani) per identificarli nel loro parlare comune, per trattarli (come significa il verbo greco) in un certo modo. Il loro intento dovette essere simile a quello che mosse coloro che diedero il nome di “negri” alle persone di razza nera. Comunque, quel termine di “cristiani” non fu mai usato dai discepoli stessi. Lo stesso Luca, subito dopo aver riferito che tale nome fu dato loro ad Antiochia, riprende a chiamare i credenti con il solito nome: “discepoli” (At 11:29). Se fu “per divina provvidenza”, come mai Luca non si adeguò? E come mai non si adeguò mai nessuno dei credenti? Illuminante anche il passo di At 12:1 che parla di “quelli della congregazione” (TNM): così Luca definisce i credenti pochissimi versetti dopo aver riferito che gli antiochieni diedero ai discepoli l’appellativo di “cristiani”. Luca davvero non adotta nè fa suo quel nome. A ulteriore conferma che l’appellativo di “cristiano” era un soprannome dispregiativo dato dal popolino, abbiamo le parole scritte nel 116 o 117 da uno storico che, descrivendo i discepoli di Yeshùa, scrive: “Coloro che il volgo chiamava cristiani” (Tacito, Annales 15,44; corsivo aggiunto per dare enfasi). Le cattive intenzioni del volgo, ovviamente, hanno ben poco o nulla a che fare con la “divina provvidenza”. 2. La seconda volta che il nome “cristiano” appare nella Scrittura è in At 26:28. Sono passati circa quattordici anni da quell’avvenimento di Antiochia: siamo nel 58 circa della nostra era, venticinque anni dopo la morte di Yeshùa. L’apostolo Paolo si trova a Cesarea, prigioniero davanti al re Erode Agrippa, e ha appena terminato di dare la sua testimonianza di fede. “Ma Agrippa disse a Paolo: ‘In breve tempo mi persuaderesti a divenire cristiano’” (TNM). Notiamo subito che ad usare questo termine di “cristiano” è, ancora una volta, qualcuno che non è un discepolo di Yeshùa. Evidentemente, quel modo di chiamare i discepoli, iniziato ad Antiochia, era diventato un modo comune di riferirsi a loro da parte della gente (al di fuori della congregazione). Ora lo usa perfino il re Agrippa. È però molto interessante notare come si comporta Paolo. “Allora Paolo disse: ‘Desidererei dinanzi a Dio che in breve tempo o in lungo tempo non solo tu ma anche tutti quelli che oggi mi odono divenissero tali quale sono io’” (TNM). Qui Paolo dà prova di grande abilità e di tatto. Non si ferma a cogliere l’ironia di Agrippa né la contesta, ma – desideroso di continuare la sua testimonianza – schiva elegantemente quell’appellativo di “cristiano” e nella sua risposta lo sostituisce con un “quale sono io”. 3. La terza e ultima volta in cui il termine appare nella Bibbia si trova in 1Pt 4:16. Questa volta è l’apostolo Pietro ad usarlo. Sarà interessante esaminare come egli lo usa. Intanto osserviamo che ci troviamo all’incirca nel 62-64 della nostra era, quasi trent’anni dopo la morte di Yeshùa. Il termine doveva essere ormai molto comune tra le persone estranee alla comunità dei discepoli. Ed ecco ciò che scrive Pietro: “Ma se [soffre] come cristiano, non provi vergogna” (TNM). Pietro usa dunque il termine. Esaminiamo il contesto e scopriamone il perché. Il capitolo 4 della sua prima lettera inizia con l’esortazione fatta ai credenti ad ‘armarsi della stessa disposizione mentale’ di Yeshùa: accettare la sofferenza, “siccome Cristo soffrì nella carne” (v. 1, TNM). Pietro poi rammenta loro che i peccati e le ingiustizie da loro commessi prima di diventare fedeli appartengono al tempo passato (v. 3); ora sono persone diverse, per questo i non credenti “parlano ingiuriosamente” di loro (v. 4, TNM). Passa poi a dare consigli sulla buona condotta (vv. 7-11). Dal v. 12 li esorta a non rattristarsi per quello che subiscono, ma – al contrario – a ‘rallegrarsi , visto che sono’ “partecipi delle sofferenze del Cristo” (v. 13, TNM). Poi arriva al punto: “Se siete biasimati per il nome di Cristo, felici voi” (v. 14, TNM). Quindi distingue: “Comunque, nessuno di voi soffra come assassino o ladro o malfattore o come uno che si intromette nelle cose altrui. Ma se [soffre] come cristiano, non provi vergogna” (vv. 15,16, TNM). In pratica Pietro dice: Yeshùa ha sofferto, anche i suoi discepoli soffrono; ma attenzione: se uno soffre perché è omicida o ladro, si deve solo vergognare; ma se soffre “come cristiano” per le vituperazioni non ha motivo di vergognarsi, perché essere biasimati “per il nome di Cristo” è motivo di gioia. Anche se i non credenti “parlano ingiuriosamente” e i discepoli sono “biasimati per il nome di Cristo”, essere tacciati col nome di “cristiani” (nell’intento di attribuire loro chissà quale colpa) non è motivo di vergogna; lo sarebbe essere tacciati, a ragione, di omicidio o furto. In tutte le Scritture Greche i credenti in Yeshùa sono sempre chiamati “discepoli”, anche dopo che fu affibbiato loro l’appellativo di “cristiani”. Essi non usarono mai tra loro il termine di “cristiani”, ma lo subirono.
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Lasciato il - 12 March 2010 : 09:05:08
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Carissimo CieloSegreto, mia moglie, io ed altri fratelli, da molti anni, pensiamo esattamente come te su questo argomento,( la Cena del Signore )come puoi vedere dal nostro post, e per questo abbiamo avuto anche "tempi duri"! Quindi siamo veramente felici di sapere che anche tu condividi il nostro pensiero. Grazie per il lungo commento. Pace
Scritto Da - ren on 12 Marzo 2010 09:07:12 |
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Lasciato il - 12 March 2010 : 13:21:25
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Caro, Ren, pensi anche che la Pasqua ebraica - come il resto delle Festività bibliche e il sabato, vadano osservate? |
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Messaggi: 166 |
Lasciato il - 13 March 2010 : 11:10:15
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Salve cielosegreto,
Per le Feste ebraiche, Paqua ebraica ed il Sabato non mi sembra affatto che nel N.T. ci siano obblighi riguardo ai cristiani. Si ricordano per conoscere il loro significato simbolico nel piano di Dio, ma non per osservarle come comandamento.
Alcune organizzazioni religiose come Chiesa di Dio unita, Avventisti ed altre , le osservano in modo assai rigoroso, arrivando anche a non mangiare carne di maiale, ma, secondo me, sono completamente fuori! Fra l'altro gli Avventisti seguono gli insegnamenti o visioni di Ellen White in merito al ritorno di Cristo a cui si è ispirato Russell per la presenza invisibile.
In attesa di tuoi commenti ti ringrazio e ti saluto nel Signore Gesù. |
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Giordano Bruno
Membro
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Italia
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Lasciato il - 13 March 2010 : 18:06:42
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Vorrei capire dal nostro caro “Ren” cosa voglia dire col termine “tempi duri”. Qui nessuno vuol rendere duro il proprio tempo a chicchessia, e credo anche che ogni cristiano, abbia il diritto di avere una propia opinione in merito a qualsiasi intendimento scritturale , purchè questa sia animata e stimolata dalla buona fede senza preconcetti all’insegna dell’amore e del rispetto reciproco e senza trionfalismi se un fratello possa avere idee a volte sbagliate su qualche punto. Confrontandosi infine amorevolmente con gli altri e senza che tutto questo debba dare adito a qualcun altro di dire “tempi duri”. Ma se per amore solo di discussione e per onestà intellettuale (vorrei innanzitutto elogiare la risposta molto articolata e precisa di “CieloSegreto”) vogliamo prendere per buono questo intendimento; cioè che Gesù non osservò la Pasqua ebraica. vorrei formulare queste ulteriori considerazioni. Gesù era ebreo nato sotto la legge, e come tale era tenuto ad osservare scrupolosamente ogni parte di essa, non solo, essendo egli perfetto, noi tutti ci aspetteremmo che Egli lavesse osservata pienamente. Così come comanda Mosè in Esodo 12:25. Se Egli non avesse celebrato la Pasqua avrebbe infranto la legge, e questo contrasta con ciò che il Padre si aspettava da Lui. Non solo, la Legge prescriveva fra le altre cose, di consumare la Pasqua con i propri familiari e noi vediamo che anche in questo Gesù fu fedele, pur mangiandola con i suoi discepoli, non fu forse Lui ad insegnarci che chiunque gli era madre fratello o sorella, chiunque faceva la volontà di suo Padre, gli era madre fratello o sorella? Luca 8:21. In realtà i suoi discepoli erano la sua nuova famiglia. Ma il nocciolo della questione non è tanto questo ma come suggerisce “CieloSegreto” se nostro Signore si è esentato da osservare la Pasqua in realtà non l’ha abolita. Rimarrebbero in vigore quindi tutte le leggi date a Mosè compresa l’osservanza del Sabato. Non mi si può venire a dire che si prende quello che ci fa comodo e si lascia quello che ci è scomodo! Così come ci illustra Gesù nel meraviglioso sermone del Monte in Matteo 5:27-28 parlando della Legge circa il non commettere adulterio, AGGIUNGE e non toglie a ciò che era già scritto dicendo: MA IO VI DICO……….in questo modo anche la Santa cena viene ad aggiungersi come memoriale per i suoi discepoli che niente andrebbe a togliere ciò che era stato dato in eterno per Israele. In altre parole se Gesù non ha osservato la Pasqua ebraica non osservando la legge, ha lasciato in vigore tutto. Scegliete voi! Detto questo, penso che dato che sono molti anni che studiosi delle sacre scritture affrontano questo argomento senza trovare un punto di equilibrio fra di loro, ritengo opportuno non entrando più nel merito della questione, in quanto materia veramente molto complessa (altrimenti saremmo tutti d’accordo da molto tempo), ritengo opportuno dicevo, sopratutto in questo periodo, porre l’attenzione SOLO SULL’IMPORTANZA E SUL SIGNIFICATO CHE QUESTO AVVENIMENTO RAPPRESENTA PER OGNI SINGOLO CONSACRATO E PER TUTTA L’INTERA UMANITA’ PRESENTE PASSATA E FUTURA. che il Signore ci possa aiutare a capire nel modo giusto la Sua Parola. Un abbraccio e che la pace sia con tutti noi
Scritto Da - giordano bruno on 13 Marzo 2010 18:09:17
Scritto Da - giordano bruno on 13 Marzo 2010 18:09:56
Scritto Da - giordano bruno on 13 Marzo 2010 18:12:49 |
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Lasciato il - 13 March 2010 : 19:30:38
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Caro Giordano Bruno, io non so più come dirlo: Yeshùa era un giudeo osservante e la Pasqua l’ha sempre osservata. Ma l’anno della sua morte non poté: era lui la Pasqua quell’anno. Per favore rileggi bene i miei post e valutali con la Bibbia alla mano. Da Giuseppe Flavio sappiamo che il primo agnello pasquale era scannato nel Tempio di Gerusalemme verso le ore 15 del 14 di nissàn. Ebbene, Yeshùa morì proprio in quel momento. In quanto al sabato e a tutte le Festività di Dio, fanno parte della Legge. Yeshùa la rispettò e mai l’abolì. La Legge – non quella cerimoniale – è sempre in vigore. Fa parte del “nuovo patto”, la cui novità è che viene scritto nei cuori, quindi ancora più vincolante. Dici bene: nel meraviglioso sermone del Monte in Matteo 5:27-28 parlando della Legge, Yeshùa non toglie ma dà anzi un giro di vite. La traduzione “ma io vi dico” è sbagliata: forse i traduttori con quel “ma” vogliono far intendere che Yeshùa dicesse cose diverse rispetto a prima. Il testo greco dice: “E io vi dico”. Questa frase era un classico modo usato dai rabbini per commentare la Bibbia. Yeshùa rese ancora più vincolante la Legge. I cosiddetti cristiani amano buttare tutto sul simbolico e lo spirituale. Parlano di sabato come di simbolo, e dimenticano che nella Bibbia il simbolo presuppone la realtà. Il noto passo di Col 2:16, se si sapesse leggerlo bene, afferma il sabato, altro che abolirlo. “Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a feste, a noviluni, a sabati”. Paolo sta dicendo che nessuno si deve permettere di giudicarli perché osservano queste cose. TNM traduce: “Nessuno vi giudichi riguardo al mangiare e al bere o in quanto a festa o a osservanza della luna nuova o a sabato”. Hanno il testo sotto gli occhi e non sanno leggere. La scrittura NON dice ‘nessuno vi giudichi in quanto a NON osservanza’, MA: “In quanto a OSSERVANZA”. Anche nel nuovo mondo avvenire sarà rispettato il sabato: “’Avverrà che, di novilunio in novilunio e di sabato in sabato, ogni carne verrà a prostrarsi davanti a me’, dice il Signore”. – Is 66:23. “Tutti quelli che saranno rimasti di tutte le nazioni venute contro Gerusalemme, saliranno di anno in anno a prostrarsi davanti al Re, al Signore degli eserciti, e a celebrare la festa delle Capanne” (Zacc 14:16). E se non lo faranno saranno puniti (vedere vv. 17-19).
“Se tu trattieni il piede dal violare il sabato, facendo i tuoi affari nel mio santo giorno; se chiami il sabato una delizia e venerabile ciò che è sacro al Signore; se onori quel giorno anziché seguire le tue vie e fare i tuoi affari e discutere le tue cause, allora troverai la tua delizia nel Signore”. – Is 58:13.
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Lasciato il - 13 March 2010 : 19:55:43
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Carissimo Giordano Bruno, quello che hai commentato sui "tempi duri" mi meraviglia. Mi riferivo al tempo ormai passato da anni in cui, come ti ricorderai, c'erano infinità di discussioni. Quel tempo è passato ringraziando Dio.
Nessuno accusa nessuno, ci mancherebbe!
Ti ricordo comunque che ho fatto mia la famosa frase di Voltaire, sulla tolleranza, anche se "non condivido ciò che pensi, combatterò fino in fondo affinchè tu possa continuare a pensarlo"
Ciao ed a presto, pace |
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